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martedì 25 giugno 2024

Giulia De Caro, detta anche la Ciulla della Pignasecca

Giunta a Napoli, fu dapprima al servizio di un negoziante di ventagli, certo G. Pesce, che per cento doppie di Spagna la cedette a Cappello d'oro, romano, buffone. di piazza, che la D. poi sposò e con cui cominciò a esibirsi in una compagnia di comici e di saltimbanchi di infimo ordine in piazza Castello, cuore della Napoli popolare. Fu così che la D. - conosciuta con il nome di Ciulla d'a Pignasecca dal nome di porta Petruccia al ponte Liccardo al Lavinaro, nei cui vicoli conduceva la sua vita dissoluta - su palchi improvvisati, diventò canterina e cominciò ad accentrare su di sé l'attenzione del pubblico interpretando canzoni sguaiate, come "la sfacciata" e "la varchetta", con voce intonata e di buon timbro. 
Servendosi della sua grande bellezza e delle sue doti di intelligenza, riuscì perfino in breve tempo a rendere le sue interpretazioni non prive di una certa raffinatezza. A Napoli, in quel periodo, si era venuto diffondendo da Venezia il teatro in musica e si venivano costituendo anche le prime compagnie d'opera. La D. si rese subito conto che il teatro le avrebbe potuto offrire la possibilità di entrare a far parte di una sfera sociale ben diversa da quella da lei fino ad allora frequentata. A quel tempo era viceré di Napoli don Antonio Albarez, marchese di Astorga, il quale - diversamente dal suo predecessore Pedro Antonio d'Aragona, non ben disposto verso i musicisti ed avverso anche agli stessi musici di corte - favorì le compagnie teatrali che si andavano costituendo e contribuì al successo della prima canterina napoletana, della cui bellezza - come ribadisce il Viviani - si favoleggiava più che della sua arte.
Nacque a Vieste (Foggia) il 13 luglio del 1646, da Tommasino, che era cuoco o taverniere. Dopo una infanzia infelice nel paese natale, trascorsa tra privazioni e umiliazioni di ogni genere e una precoce adolescenza, visse una giovinezza estremamente squallida. Ben presto approdò a Foggia e di lì a poco, partì alla conquista della capitale del Regno che era allora una meta insostituibile per chiunque volesse in qualche modo affermarsi.Giulia De Caro, detta anche la Ciulla della Pignasecca, fu la pio­niera delle cantanti fa­tali e l’anticipatrice di qualche novità tecni­ca. D’estate cantò su una barca davanti alla spiaggia di Mergellina, tenendo un imbuto di latta amplificatore davanti al­la bocca affinché tutti sentissero
Dopo aver abbandonato il marito, la D. cominciò a frequentare ambienti più raffinati e, intenzionata a dare la scalata al mondo dell'arte, cominciò a studiare musica, a perfezionarsi nell'arte del canto e, divenuta virtuosa, entrò a far parte della prima compagnia di cantanti d'opera napoletani, i Febi Armonici. Fu scritturata da Cecilia Sirj Chigi, una vecchia commediante, impresaria del teatro S. Bartolomeo. che, costruito nel 1620 alle spalle della chiesa dell'Ospedaletto in via Medina, era a quel tempo il massimo teatro napoletano e tale rimase fino alla inaugurazione del S. Carlo. La D. esordì probabilmente nell'Annibale in Capua di P. A. Ziani o nel Demetrio di C. Pallavicini ma fu un fiasco (venne infatti accolta da un pubblico ostile ed ironico che la coprì di fischi e di volgari insulti).
Ciò nonostante la D. non si diede per vinta: continuò a studiare con molta tenacia, ma soprattutto a cercare protezione e amicizie negli ambienti aristocratici della città; nel 1673, grazie al denaro e alla protezione d'un suo amante, don Prospero Barisani. marchese di Caggiano, assunse l'appalto del teatro S. Bartolomeo e formò e diresse una compagnia di Armonici con cui esordì sulle scene del teatro napoletano. Fermamente decisa a conquistare il pubblico, non lesinò alcuna spesa: chiamò a Napoli le più belle voci d'Italia, tra le quali il cantante Sonetto, la cantatrice Marinetta e la famosa canterina romana Caterina Porri, che ospitò nella sua casa; fece rifare con grande sfarzo le scene e i costumi dell'opera che aveva scelto per l'inaugurazione della stagione. La compagnia debuttò nel novembre dello stesso anno con il Marcello in Siracusa, opera su libretto di M. Noris e musica di G. A. Boretti e P. A. Ziani, con un prologo di don Giovanni Cicinello, duca di Grottaglie e principe di Cursi, che fu uno dei suoi molti amanti.
Il comportamento licenzioso, fino ad allora tollerato, non fu più ammesso e, dandosi particolare credito a tutte le voci diffamanti, intervennero contro di lei, per la salvaguardia della morale pubblica, le autorità del capitano della guardia vicereale e dell'uditore del regio esercito. La D. questa volta fu sopraffatta dagli eventi, non riuscì a trovare cantanti disposti a formare compagnia con lei e fu costretta a ritirarsi per sempre dalle scene. Fatta poi arrestare dal viceré, fu rinchiusa nel "conservatorio delle Pentite" alla Pignasecca.
Liberata e rimasta vedova, si risposò con un facoltoso giovane napoletano con il quale visse, senza far più parlare di sé, per altri vent'anni.
La D. morì a Napoli il 17 nov. 1697 nel casale di Capodimonte.

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